Cari lettori, prima di presentare l’articolo odierno, rileggiamo insieme la missione del blog ‘Alleniamoci alla leadership!’
“Donare valore ai miei lettori restituendo ciò che ho imparato e contaminare la scrittura con della buona leadership per favorire la comprensione della complessità, l’applicazione del pensiero laterale e la conoscenza dei fenomeni organizzativi.”
Da quando il blog è in rete non ho ancora scritto di Auto-Organizzazioni, uno dei temi che più mi affascina e che maggiormente mi ha colpito sin da quando, nel lontano 2012, lessi per la prima volta il saggio di De Toni, Comello e Ioan intitolato: Auto-organizzazioni. Il mistero dell’emergenza nei sistemi fisici, biologici e sociali.
Tale passione mi ha spinto a dedicare addirittura un intero capitolo della mia tesi di dottorato (divenuta, a sua volta, un saggio sull’innovazione e sulla creatività nel 2020 [1]) a questo affascinante tema.
AUTO-ORGANIZZAZIONI: COSA SONO?
“L’insieme è più della somma delle sue parti.” Aristotele
Il fenomeno dell’auto-organizzazione è ancora avvolto da un alone di mistero, nonostante lo si possa osservare in numerosi fenomeni naturali, sociali e artificiali. È possibile, infatti, descrivere cosa succede all’interno del sistema, ma non si è ancora in grado di stabilire, con un ragionevole grado di certezza, i meccanismi legati al perché, al come e al quando un sistema si auto-organizzi[2].
Riassumendo: “L’auto-organizzazione è il risultato di un processo dinamico di emergenza dal basso, basato sulle interazioni locali tra le parti costituenti e privo di controllo centralizzato, attraverso cui un sistema complesso riorganizza le sue parti di base per formare una nuova configurazione dotata di proprietà diverse rispetto alle sue componenti elementari. In tal senso vale il brocardo che ‘il tutto è maggiore della somma delle parti’. Per esempio, nel cervello umano un singolo neurone non ha coscienza, ma da milioni di neuroni in reciproca interazione emerge il pensiero che noi conosciamo”[3]. In altre parole, l’auto-organizzazione è l’emergenza spontanea di comportamenti coordinati e collettivi degli elementi che formano il sistema[4].
“In un certo senso è paradossale parlare di modello auto-organizzato perché l’auto-organizzazione è un fenomeno di natura emergente che si auto riproduce. Ciò non esclude l’esistenza di diversi principi e pratiche imprenditoriali cui ispirarsi per favorire lo sviluppo di tali organizzazioni in modo che possano crescere autonomamente”[5].
Il modo migliore per capire la portata e la significatività del fenomeno delle auto-organizzazioni è fare qualche esempio pratico.
LUCCIOLE: ESEMPI DI FENOMENI AUTO-ORGANIZZATIVI[6]
“Lo scopo dell’organizzazione, e il fondamento dell’autorità manageriale, è rendere produttiva l’energia umana.” Peter Drucker
Per meglio declinare le auto-organizzazioni, proponiamo una serie di esempi facilmente osservabili nella vita di tutti i giorni. Lo scopo è quello di mostrare come il modello auto-organizzativo non sia poi così tanto astratto ma funziona egregiamente in diverse circostanze. La Natura, ad esempio, ci riserva esempi eccezionali di auto-organizzazione. Insetti come le api, le vespe, le formiche, le termiti, i volatili e le lucciole possono costituirsi in strutture sociali auto-organizzate caratterizzate da un elevato livello di cooperazione e complessità.
Il meraviglioso esempio di auto-organizzazione nel mondo biologico che proporremo oggi è quello delle lucciole. Esse si caratterizzano per l’emissione di luce all’unisono e allo stesso ritmo. Lo scienziato Philip Laurent che ha studiato questo fenomeno nel 1917 era certo di aver risolto l’enigma concludendo: “Il fenomeno apparente era causato dalla contrazione e improvviso abbassarsi e rialzarsi delle mie palpebre. Gli insetti non hanno niente a che fare con esso!”. La rivista ‘Science’ tra il 1915 e il 1935 pubblicò altri venti articoli sul tema, cercando di rispondere al seguente interrogativo: ‘Se vogliamo che un insieme di uomini cantino o suonino insieme a ritmo, non solo dobbiamo fornirgli un leader, ma dobbiamo anche addestrarli a seguire questo leader. Questi insetti ereditano forse un senso del ritmo più perfetto del nostro?’. La domanda rimase senza risposta fino a quando il biologo John Buck e la moglie volarono in Thailandia per capire il fenomeno definitivamente. Dopo una serie di esperimenti i coniugi Buck affermarono che le lucciole, in qualche modo, riescono con degli aggiustamenti successivi ad allinearsi agli scintillii delle vicine. Tale ipotesi fu confermata in laboratorio. Oggi è noto che ciascuna lucciola invia e riceve segnali dalle lucciole vicine, facendo emergere la sincronizzazione in maniera spontanea, dal basso e senza la presenza di alcun leader. Il tutto avviene nonostante le lucciole non siano particolarmente intelligenti: tutto ciò di cui hanno bisogno, è un semplice metronomo interno che aggiusta automaticamente il tempo in risposta alle vicine[7].
TRATTI CARATTERISTICI DELLE AUTO-ORGANIZZAZIONI[8]
“Tutto il lavoro scientifico è incompleto, sia esso di osservazione o sperimentale. Tutto il lavoro scientifico è soggetto a essere capovolto o modificato dalla progressione della conoscenza. Ciò non ci dà la libertà di ignorare la conoscenza che abbiamo già o di posporre l’azione che essa sembra richiedere in un dato momento.” Sir Austin Bradford (1897 – 1991)
Delineeremo i tratti caratteristici delle auto-organizzazioni e illustreremo una serie di PRATICHE MANEGERIALI e di PRINCIPI ISPIRATORI che i leader dovrebbero porre a fondamento delle loro azioni per favorire la nascita e lo sviluppo di realtà auto-organizzative all’interno delle proprie aziende. Queste pratiche e principi di cui parleremo non sono dogmi ma vanno intesi al pari degli attrezzi che un idraulico ripone all’interno della propria cassetta. In base alla situazione, occorre saperli tirare fuori contestualizzandoli e adattandoli al caso di specie. Come può quindi un leader indirizzare quindi la sua organizzazione verso una realtà auto-organizzata?
- INTERCONNESSIONE
Tutte le articolazioni che compongono l’organizzazione e le persone che vi sono all’interno devono essere fortemente interconnesse tra loro mediante rapporti formali e informali. È necessario che l’organizzazione si apra all’esterno e verso tutte le unità interne, senza adottare direttive e disposizioni che rallentino od ostacolino questi scambi. Si tratta di riprodurre, all’interno dell’organizzazione stessa, l’intelligenza a rete tipica dei sistemi informativi quali, ad esempio, il World Wide Web. Essi offrono l’opportunità di sviluppare una sorta di mente globale o organizzativa condivisa tra tutti i suoi membri. L’organizzazione dovrebbe poter essere rappresentata come un cerchio. Al centro c’è la direzione organizzativa e nei punti esterni si trovano gli operatori che sviluppano e che producono concretamente qualcosa (si tratta delle unità operative, intese in senso lato). Tali unità vedono chiaramente quello che succede perché sono ai margini esterni, ma riescono a vedere solo piccoli segmenti poiché hanno una visione limitata di quanto accade al centro dell’organizzazione. Hanno però un grosso limite. Essendo lontani dall’azione, non riescono a vedere tutto con chiarezza. La soluzione a entrambi i problemi consiste nel connettere direttamente il centro con le periferie: entrambi ne trarranno un grande beneficio. Consapevoli che sorgerebbe un problema serio di demoltiplica, si dovrebbe prevedere un esiguo numero di livelli intermedi. Serve in sintesi una stretta vicinanza tra i centri e le periferie dell’organizzazione che vanno interconnesse.
- RIDONDANZA
Le organizzazioni in grado di auto-organizzarsi non possono far a meno di essere ridondanti altrimenti rimarrebbero cristallizzati e completamente statici. Nel cervello umano le reti neurali, creando migliaia d’intrecci, rappresentano la ridondanza del sistema. A ogni momento, infatti, più parti del cervello, sono impegnate nell’analisi e nell’elaborazione dello stesso input ricevuto. Suddividendo in unità autonome l’organizzazione si riesce ad ottenere un eccesso funzionale delle risorse. Non si aggiungono altre parti al sistema ma, funzioni aggiuntive a ogni parte, in modo che sia in grado di eseguire un più ampio spettro di attività, piuttosto che un singolo lavoro specializzato. Entro certi limiti ‘tutti imparano e devono imparare a fare tutto’ e, qualora se ne presenti l’esigenza, è possibile destinare persone con determinate competenze verso compiti e mansioni diverse. Così facendo si ottiene un alto grado d’intercambiabilità tra le risorse umane. Ogni essere umano è un esempio vivente della ridondanza: ha coppie di occhi, di polmoni, di gambe, di braccia, di orecchie, di reni, di mani, di arti e così via. Il maggiore costo nel breve termine è ampiamente ricompensato dai vantaggi e dalla flessibilità che si ottengono nel lungo periodo. L’elaborazione parallela d’informazioni e la loro condivisione è fonte inesauribile di creatività, fiducia reciproca e mutuo impegno.
- CONDIVISIONE
Le unità autonome sono efficaci se agiscono in maniera coordinata e se selezionano solo gli input che non mettono a rischio l’identità dell’organizzazione. Primo fra tutti un sistema culturale basato e fondato su valori comuni. Il modo migliore per riuscirci è legare gli obiettivi di sviluppo personali a quelli dell’organizzazione cui si appartiene attraverso sistemi di valutazione dei rendimenti e di retribuzione e incentivazione. Il collante che tiene insieme gli individui all’interno delle auto-organizzazioni è la condivisione degli obiettivi organizzativi che è tanto più efficace quanto maggiore è il legame tra gli individui e l’organizzazione. L’ideologia, in tal senso, è un potente strumento organizzativo. Per essa si è disposti a lottare, a combattere e sacrificare se stessi in nome e per conto di quella causa.
- NUMERO MINIMO DI REGOLE
L’idea base è che, se un sistema deve potersi auto-organizzare, è necessario che gli sia concesso un certo spazio discrezionale e una certa autonomia per attuare processi d’innovazione. Il fatto è che nella maggior parte delle organizzazioni ci si trova di fronte a vertici aziendali che tendono a produrre norme in eccesso servendosi di strumenti di controllo esagerati tralasciando magari quelle poche variabili critiche che invece andrebbero sviscerate nello specifico. Perché le aziende possono essere sapientemente gestite con poche semplici regole e una direzione manageriale minimale.
- RICONFIGURAZIONE CONTINUA
Le organizzazioni devono continuamente e rapidamente adattare la propria struttura al variare delle condizioni esterne anziché tendere a rinforzare lo status quo. L’organizzazione deve essere disposta a cambiare rapidamente e dotarsi di strumenti che consentono di farlo senza eccessivi appesantimenti burocratici. Impariamo ad apprendere. Il sapersi riorganizzare su base continua permette alle norme operative di un sistema di modificarsi al pari delle trasformazioni che si realizzano nell’ambiente circostante.
“Noi stiamo lasciando l’era delle organizzazioni organizzate e stiamo entrando in un’epoca in cui l’abilità di capire, facilitare ed incoraggiare processi di auto-organizzazione diverrà la competenza chiave”. Gareth Morgan
Oltre a tali principi, per stimolare l’emergere di auto-organizzazioni, occorre adottare le seguenti PRATICHE MANAGERIALI che ne costituiscono le fondamenta:
- La leadership deve riconsiderare la tradizionale logica dall’alto verso il basso (top-down) spostandosi verso una che vada in senso contrario (bottom-up) in considerazione del fatto che l’auto-organizzazione è un fenomeno appunto che emerge dal basso e si dirige verso l’alto. Diversi studiosi parlano di gruppi a-centrati intendendo che sono le singole parti del sistema a governare il processo e non il centro. Auto-organizzazione nel campo sociale non significa assenza di leadership ma l’instaurazione di una nuova leadership strettamente correlata alla complessità: i decisori a vario titolo devono, pertanto, prestare attenzione, comprendere i segnali deboli che giungono dal basso dando la dovuta considerazione a queste dinamiche emergenti. Nel merito, il premio Nobel per la fisica Murray Gell-Mann, rileva l’importanza delle iniziative emergenti dal basso in contrapposizione a quelle imposte dall’alto. Nei sistemi complessi adattivi si ottengono migliori risultati se tutti gli interessati sono coinvolti nel processo di trasformazione, se hanno la percezione che ci sia in gioco un loro interesse e se collaborano nella realizzazione di questo processo. Viceversa, nel caso in cui il processo fosse imposto dall’alto attraverso una burocrazia lontana, le probabilità di successo di questo processo di trasformazione saranno molto inferiori[9].
- La leadership deve prendere le distanze dalla cultura dell’o (disgiuntiva) e abbracciare quella dell’e (inclusiva). Ciò presuppone il superamento di consolidate dicotomie solitamente presenti all’interno delle organizzazioni. Tanto per citarne alcune: ‘bianco o nero’, ‘sei con me o contro di me’, ‘io sono nel vero e tu nel falso’, ‘angelo o demone’, ‘generalista o specialista’, ‘formazione o addestramento’. Le pratiche manageriali ideali in contesti auto-organizzati, infatti, suggeriscono il superamento della cultura della contrapposizione e dell’esclusione per tendere, invece, a una spiccata partecipazione e inclusività.
- I leader di tutti i livelli ordinativi devono ricercare una continua e consapevole delega diffusa di potere e autorità. La leadership in questo modello si fonda sullo strumento della delega, seppur nell’ambito di alcune semplici regole di base, finalizzate a far emergere nelle organizzazioni ‘l’intelligenza distribuita’, ovvero le capacità intellettuali, operative, innovative ed emozionali degli esseri umani. Il decentramento di potere e autorità indirizza l’organizzazione verso la flessibilità, comporta una diffusa assunzione di responsabilità all’interno della stessa e favorisce i processi innovativi e creativi. L’aumento dei punti di vista potrebbe rallentare in taluni casi il processo decisionale ma rappresenta sicuramente un arricchimento qualitativo del processo stesso, pur richiedendo la difficile ‘disciplina delle intelligenze’ tipica degli ambienti lavorativi in cui si svolgono lavori di staff.
- La leadership deve continuamente ricercare all’interno della propria organizzazione:
- la ‘crescita verso l’alto’ del lavoratore (job enrichment), ovvero un processo di allargamento verticale delle competenze dei lavoratori che vedono così valorizzate e sviluppate sempre più le proprie competenze;
- l’estensione delle ‘mansioni laterali’ del lavoratore (job enlargement). Prende questo nome il processo di allargamento orizzontale delle competenze dei lavoratori, ovvero l’aumento delle attività e dei compiti da svolgere.
- l’avvicendamento negli incarichi (job rotation) ovvero nel ruolo. Serve pianificare con un congruo anticipo la rotazione degli incarichi per consentire efficaci passaggi di consegne. Si ritiene che un minimo di due fino a un massimo di quattro anni sia un tempo adeguato per svolgere efficacemente un incarico prima di passare al successivo. Ciò ha il duplice vantaggio di produrre ridondanza (che come vedremo più avanti aumenta l’intercambiabilità tra le risorse umane) e diffondere conoscenza all’interno dell’organizzazione nonché scoraggiare la costruzione di ‘imperi di potere’, legato al fatto che è difficile farlo se ogni un paio d’anni occorre fare le valigie e trasferirsi altrove.
- l’incoraggiamento al lavoro di gruppo. Su questo aspetto c’è poco da aggiungere.
- La deregolamentazione ovvero l’eliminazione, la semplificazione dei regolamenti e delle procedure che disciplinano una determinata attività, va ricercata a tutti i livelli ordinativi. Come si è visto poche e semplici regole sono alla base dei fenomeni auto-organizzativi. Non più dettagliati mansionari lunghi pagine e pagine ma semplicissime linee guida il cui compito è esclusivamente quello di orientare i comportamenti individuali dei lavoratori e lavoratrici. I leader di organizzazioni che tendono ad auto-organizzarsi non gestiscono i singoli individui che la compongono, ma si limitano a definire un complesso limitato di semplici regole. Tutto ciò è finalizzato a orientare i comportamenti dei lavoratori senza reprimerne l’intelligenza e le diversità.
- Processo decisionale partecipativo inteso come la partecipazione del maggior numero di persone possibile al processo di elaborazione ed attuazione delle decisioni. Tale processo, per dirsi partecipativo, deve avvenire senza che ci sia un’autorità gerarchica deputata a farlo. La decisione non deve avvenire secondo il classico processo vertice-base della piramide. Le decisioni comuni sono prese con un meccanismo conosciuto con il termine inglese ‘decision by consent’: la soluzione è messa in pratica quando non ci sono obiezioni ragionevoli. In altri termini, non decide chi è gerarchicamente sovraordinato, che in questo caso ha la valenza del facilitatore ma chi, a prescindere dal rango / funzione, è in possesso delle conoscenze più vaste o dell’intuizione più fruttuosa.
- Gestione distribuita della conoscenza, cioè creazione di una vasta rete informale di conoscenze tra tutti gli appartenenti all’organizzazione. In pratica, si tratta di connettere e far emergere all’interno di una rete le capacità intellettuali, operative, innovative, emozionali degli esseri umani. Questa rete di cooperazione e competizione deve operare sia all’interno sia all’esterno del sistema. Edgar Morin invita a superare la frammentazione e la separazione dei saperi, connettendo scienza e umanesimo per raggiungere il ‘pensiero multidimensionale’, l’intelligenza condivisa, la contaminazione delle conoscenze. La complessità è una pluralità di saperi interconnessi e questo dimostra il potere della rete. La rete è la risposta al mito dell’onniscienza. Leonardo Da Vinci incarnava perfettamente questo mito, padroneggiava tutte le discipline, tanto nel campo teorico, quanto nelle applicazioni pratiche. In quel caso, Leonardo si poneva al vertice della piramide dei saperi perché concentrava in sé tutto lo scibile umano del suo tempo. Oggi quel Leonardo non esiste più. Una persona sola può fare poco, perché il sapere è sconfinato e non può essere padroneggiato da un sol uomo come è avvenuto in passato. Il nuovo Leonardo emerge dal basso, integrando i contributi di conoscenza di persone, anche molto distanti tra loro. Quella stessa persona da sola può fare poco. Se, invece, fa parte di una rete auto-organizzata che assorbe i suoi errori e ne agevola i successi, riuscirà molto meglio a eseguire il suo lavoro, con evidenti benefici per l’intera organizzazione. I tentativi e gli errori necessari in organizzazioni sociali complesse, infatti, sono facilmente sostenibili da una società ma difficilmente da parte di un singolo individuo. Si consideri, infine, che la rete consente anche di condividere i risultati raggiunti, i successi, ecc. Il Leonardo di oggi non è un singolo genio, ma è distribuito, disperso tra tanti che insieme riescono ad ottenere qualcosa che è più della somma delle capacità dei singoli individui.
- Comando decentralizzato (il cosiddetto mission command) è una filosofia di comando ideata dai prussiani, padroneggiata dagli eserciti tedesco (auftragstaktik – tattica per missioni) e israeliano (c.d. ‘caos organizzato’) e riproposta a fine anni Ottanta dall’esercito inglese e, a seguire, anche da quello americano. Si basa sulla creazione di gruppi coesi attraverso: la fiducia reciproca, la creazione di sentimenti condivisi, la chiarezza dell’intento dei Comandanti, l’accettazione di errori di esecuzione quando commessi ‘in buona fede’, l’esercizio dell’iniziativa fin dai minimi livelli e l’impiego di ordini basati sul ‘cosa fare’ lasciando al livello inferiore decidere il ‘come’ portare a termine i compiti ricevuti. È mia intenzione è quella di dedicare un successivo articolo su questo tema mostrando lo stile di ‘leadership senza il come’, su cui si fonda ‘il comando decentralizzato’.
Al termine di questo breve ma entusiasmante viaggio nelle auto-organizzazioni, saremo sicuramente incuriositi dal come e dal dove questo modello organizzativo possa condurre le organizzazioni che avranno deciso di adottarlo e sperimentarlo. Il futuro delle organizzazioni appartiene a quei leader che favoriscono la libera partecipazione, la volontaria assunzione di responsabilità, l’emergere della creatività individuale, lo spirito di collaborazione, l’utilizzo del pensiero laterale.
“Per affrontare l’incertezza, l’innovazione permanente e la complessità, è necessario passare dalla logica dell’obbedienza alla logica della responsabilità.” Francois Guiraud
Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate e condividete altri esempi di auto-organizzazioni che avete osservato in natura o nel sociale.
Per chi intenda approfondire il tema delle auto-organizzazioni consiglio la visualizzazione dei seguenti video del prof. Alberto F. De Toni:
- La complessità e le organizzazioni – Alberto F. De Toni, Magnifico Rettore dell’Università di Udine (17 luglio 2017)
- Il seminario “Le organizzazioni del futuro. Come migliorano i risultati se le persone cooperano?” (2 aprile 2012) – 1^ parte
- Il seminario “Le organizzazioni del futuro. Come migliorano i risultati se le persone cooperano?” (2 aprile 2012) – 2^ parte
- Il seminario “Le organizzazioni del futuro. Come migliorano i risultati se le persone cooperano?” (2 aprile 2012) – 3^ parte
- Il seminario “Le organizzazioni del futuro. Come migliorano i risultati se le persone cooperano?” (2 aprile 2012) – 5^ parte
- Il seminario “Le organizzazioni del futuro. Come migliorano i risultati se le persone cooperano?” (2 aprile 2012) – 6^ parte
- Il seminario “Le organizzazioni del futuro. Come migliorano i risultati se le persone cooperano?” (23 marzo 2012) – 7^ parte
[1] Leo Ferrante, Innovazione e creatività: quale modello organizzativo e stile di leadership adottare? Proposta di applicazione all’interno del sistema di informazione per la sicurezza della repubblica, Casa Editrice Il Filo di Arianna, La Spezia, 2020.
[2] Alberto Gandolfi, Formicai, imperi, cervelli. Introduzione alla scienza della complessità, Bollati Boringhieri, Torino, 2008, p. 42.
[3] Alberto F. De Toni, Luca Comello, Lorenzo Ioan, Auto-organizzazioni. Il mistero dell’emergenza nei sistemi fisici, biologici e sociali. Marsilio, Venezia, 2011, pag. 12.
[4] Leo Ferrante, Innovazione e creatività: quale modello organizzativo e stile di leadership adottare? Proposta di applicazione all’interno del sistema di informazione per la sicurezza della repubblica, Casa Editrice Il Filo di Arianna, La Spezia, 2020, pag. 60.
[5] Gareth Morgan, Images. Le metafore dell’organizzazione, Franco Angeli, Milano, 2002, p. 139.
[6] Leo Ferrante, Innovazione e creatività: quale modello organizzativo e stile di leadership adottare? Proposta di applicazione all’interno del sistema di informazione per la sicurezza della repubblica, Casa Editrice Il Filo di Arianna, La Spezia, 2020, pagg. 74 – 76.
[7] Alberto F. De Toni, Luca Comello, Lorenzo Ioan, Auto-organizzazioni. Il mistero dell’emergenza nei sistemi fisici, biologici e sociali. Marsilio, Venezia, 2011, pag. 76.
[8] Leo Ferrante, Innovazione e creatività: quale modello organizzativo e stile di leadership adottare? Proposta di applicazione all’interno del sistema di informazione per la sicurezza della repubblica, Casa Editrice Il Filo di Arianna, La Spezia, 2020, pagg. 62 – 74.
[9] Murray Gell-Mann, Il quark e il giaguaro. Avventura nel semplice e nel complesso, Bollati Boringhieri, Torino, 2017, pag. 409.
Gran bell’articolo, di cui condivido il contenuto. Per me, in sintesi, più una organizzazione è ben organizzata ha meno bisogno di una forte leadership, mentre un’auto organizzazione debole nelle sue componenti ha bisogno di una forte leadership che indichi la via da intraprendere.
Grazie per il commento Ernesto!
Un caro saluto,
Leo